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Francesco De Raho: il Barone del Tarantismo

«Questo vecchio gentiluomo, che mezzo secolo fa in questo estremo lembo di terra aveva cercato di mettere a profitto dei tarantati il sapere appreso sui libri di Charcot, di Gilles de la Tourette e di Pierre Janet, ci accolse amabilmente nella sua dimora patrizia, così piena di cose d’altri tempi: e la nostra visita volle essere un omaggio della nuova generazione alla vecchia, che coi mezzi di cui disponeva e con i problemi che furono suoi, aveva anch’essa onorevolmente lavorato sul campo».(1)

Con queste parole, l’antropologo e storico delle religioni Ernesto de Martino descriveva il dottor Francesco De Raho (1888-1961).

Nato a Lecce, conseguì la laurea in medicina a Roma nel 1906, con una tesi dal titolo «Il tarantolismo nella superstizione e nella scienza» pubblicata successivamente nel 1908. Non sorprende che de Martino, durante la spedizione del 1959, volesse incontrare il barone del tarantismo per conoscere un uomo che aveva potuto osservare e toccare con mano questo fenomeno.

Purtroppo, la vita di quest’uomo si è spenta nel 1961 non prima, secondo alcune voci, di aver distrutto le ultime ricerche da lui condotte.

La spiegazione del Tarantismo

Gli studi di De Raho avevano l’esigenza di rispondere ad un primo quesito: può il morso di un ragno provocare una voglia irrefrenabile di danzare?

Nei secoli, gli studi medici avevano indicato uno specifico ragno come causa del tarantismo: la lycosa tarentula. Questo ragno era così diffuso in Puglia che veniva chiamato anche Tarentula Apuliae o Phalagio Apuliae. Tuttavia, De Raho ha riportato che «per quante ricerche io abbia fatto nei dintorni di Lecce, non ho potuto mai rinvenirla, quantunque l’abbia ricercata continuamente e scrupolosamente».(2)

De Raho, quindi, ha presto orientato i suoi studi verso altri esemplari della stessa famiglia: la Lycosa Radiata e la Lycosa Trabatalis. Dopo aver affrontato ampiamente gli aspetti anatomici, il medico leccese ha intrapreso le consuete sperimentazioni su cavie di diversa taglia.

Quello che ha potuto notare successivamente è che, nonostante le cartine tornasole reagissero all’acidità del veleno prelevato dalle ghiandole delle lycosae, il decorso clinico non si limitava ad altro che a una necrosi dei tessuti.

Alla luce di queste osservazioni, Francesco De Raho è presto arrivato alla conclusione che tutti i sintomi generali (come la voglia irrefrenabile di danzare):

«sono dovuti ad idee preconcette, superstiziose, che agendo su terreni deboli e già predisposti possono fare sviluppare una serie di fenomeni di natura isterica. Un individuo crede o pure effettivamente è morso dalla tarantola, è già convinto di quello che soffrirà, perché ha visto molti altri compagni di sventura, sa anche quello che solo gli resta da fare per guarire».(3)

Le conclusioni del medico leccese portavano tutte a intendere il tarantismo come una particolare forma di isteria.

Lo sguardo verso verso il folklore

De Raho, pur non essendo né uno storico delle religioni né quantomeno un etnologo, aveva sviluppato un particolare interesse per gli aspetti più folkloristici del tarantismo: il pellegrinaggio verso la Cappella di San Paolo, con la relativa assunzione dell’acqua del pozzo, e la pratica della fune o dell’aôiresis, come preferiva chiamarla de Martino. Secondo questa pratica, nelle case venivano appese alcune funi al soffitto e i tarantati vi si appendevano per danzare. De Raho era riuscito a fotografare questo fenomeno, descrivendolo in questo modo:

«Corrono così per un quarto d’ora, anche per mezz’ora, poi si lasciano andare per terra, e mantenendosi a penzoloni alla corda, che mai abbandonano, vanno a sbattere contro i muri opposti o pure col movimento circolare acquistato rotolano sul pavimento: e spesso si producono lesioni più o meno gravi; ma non avvertono alcun dolore».(4)

Testi e Ristampe

De Raho Francesco, Il Tarantolismo nella Superstizione e nella Scienza, Tipografia Dante Alighieri Cooperativa, Lecce 1908;

De Raho Francesco, Tarantolismo, Sensibili alle foglie, Roma 1998. Il testo contiene un’introduzione e un’intervista alla famiglia di De Raho scritte da Georges Lapassade;

De Raho Francesco, Il Tarantolismo nella Superstizione e nella Scienza, Besa Editrice, Nardò 2009. Il testo contiene un’introduzione scritta da Eugenio Imbriani.

Note

(1). De Martino Ernesto, La Terra del Rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Il Saggiatore, Milano, 1ª ed., 1961, (4ª ed., 2007), p. 17.

(2). De Raho Francesco, Il Tarantolismo nella Superstizione e nella Scienza, Tipografia Dante Alighieri Cooperativa, Lecce, 1ª ed., 1908, p. 21.

(3). Ivi. p. 89-90.

(4). Ivi. p. 34-35.